Quando desideri entrare a casa di un conoscente, che sia un parente o un amico, bussi alla porta, suoni il citofono o il campanello. E immagino che tu ti assicuri che la tua visita sia cosa gradita e non improvvisa, magari fai una telefonata per avvisare del tuo arrivo… Questo accade perché hai rispetto degli spazi altrui, ne riconosci i confini e non li valichi senza il permesso di chi li abita.
Perché, dunque, dovrebbe essere diverso con un bosco o un luogo naturale?
Anche quegli ambienti posseggono confini, regole, limiti e padroni di casa, anche se non sono come li concepirebbe la nostra umana mentalità. Boschi, radure, montagne, praterie hanno una loro logica che sfugge alle nostre menti razionali, ma questo non ci giustifica a non rispettarla.
Ci sono luoghi che non vogliono essere visitati, che non amano presenze esterne. Esistono pieghe della natura che si richiudono in se stesse perché hanno bisogno di ricucire ferite invisibili, di guarire energie sottili che noi avvertiamo solo in rari casi… Eppure ci arroghiamo spesso il diritto di volere e potere arrivare ovunque, anche dove non saremmo ben accetti.
E’ possibile riconoscere questi tratti di foresta o di natura, anche se servono occhi attenti e cuore aperto. Ma, prima di dirti come fare, ti racconto due aneddoti in cui potresti ritrovarti; potrebbe essere capitato anche a te di vivere esperienze simili alle mie, ma forse non vi avevi mai prestato attenzione prima. Sono qui anche per questo: per farti vedere ciò che prima era invisibile, celato sotto la coltre dell’inconsapevolezza.
Grovigli e temporali
Tempo fa lavoravo a un altro blog con una carissima amica. Avevamo scritto un articolo su un tratto di bosco molto particolare, sul quale aleggiano leggende da brivido e superstizioni niente male. Si tratta di un luogo incastonato in un vallone, cupo, tetro, aggrovigliato, dove anche certi animali faticherebbero a entrare. Si vocifera che lì, secoli fa, siano accaduti eventi di grande violenza, qualcuno dice sia abitato da spiriti poco amichevoli, altri giurano di aver visto delle luci salire da quegli alberi in certe notti… Be’, necessitavamo di qualche foto di quel nugolo di rami, e così mi recai sul posto con la reflex. Allora non conoscevo tutte le dicerie che si raccontavano al riguardo e non avevo ancora maturato la sensibilità che ho acquisito col tempo, ero una semplice visitatrice desiderosa di trarre qualche scatto a uno scampolo di mondo che mi incuriosiva, carico di mistero, come piace a me.
Ebbene, la sensazione, scesa dall’auto, era quella di avere mille occhi puntati contro, e giuro che la mia non fosse suggestione. Nel folto degli alberi non si poteva entrare, la vegetazione era troppo fitta, troppo intricata. E allora ho goduto del tutto dalla striscia di nero asfalto che vi correva nel mezzo, scattando qualche foto di tanto in tanto.
Era una calda giornata di agosto, non limpida, ma non minacciava di certo pioggia. Dopo circa dieci minuti dal mio arrivo, si è scatenato un temporale piuttosto violento, con grandine e tuoni minacciosi. Il cambiamento del meteo è stato così improvviso e repentino che mi sarei infradiciata, se non mi fossi rifugiata in una galleria. All’entrata e all’uscita del mio riparo scorrevano due cascate d’acqua e soffiava un’aria fredda, ben poco accogliente.
Lasciai spiovere e me ne tornai in auto con ben poche foto nella reflex, ma con un’inequivocabile certezza nel cuore: quel luogo non voleva essere disturbato e io avevo recepito il messaggio.
Strani rumori
La scorsa estate mi sono decisa a visitare un luogo sacro immerso nella macchia. Si trattava di un posto suggestivo, da quel che avevo sentito dire, intriso di tradizioni e storia. Ancora una volta, presi l’auto e mi misi in marcia. Arrivata a un certo punto, però, trovai una grossa frana che mi impediva di proseguire su quattro ruote, ma non a piedi… così abbandonai la macchina sullo sterrato e proseguii con le mie gambe. La strada per giungere all’antico luogo di culto era ancora lunga e a ogni curva incontravo frane, alberi crollati, detriti… e ogni volta li scavalcavo e proseguivo.
Arrivare sembrava diventata un’impresa impossibile, ma alla fine riuscii. Ricordo ancora la sensazione sgradevole e inspiegabile che provai. Eppure il luogo era descritto come ameno e pacifico, non mi sarei certo aspettata una simile accoglienza.
Anche in questo caso, mi sentii osservata. Visitai il luogo di preghiera con una sensazione di urgenza nel petto, aumentata da strani ticchettii concitati che udivo nelle vicinanze, anche se non riuscivo a identificarne la fonte. Ogni volta che mi voltavo per capire cosa li provocasse, il ticchettio si interrompeva, per poi incalzare di nuovo e sempre di più. Ancora oggi non so cosa fosse, non dico sia stato qualcosa di soprannaturale, ma di certo so che l’energia del luogo non fosse amichevole. Me ne andai, ma le sensazioni che avevo provato restarono con me ancora per un po’.
Tiriamo le somme
Con queste mie parole ed esperienze non voglio farti credere che io sia superstiziosa o credulona. Ma ho sperimentato sulla mia pelle una cosa che ognuno di noi può aver avvertito almeno una volta nella vita, senza darle alcun peso: l’energia dei luoghi.
E, dunque, tornando all’argomento iniziale di questo mio articolo, mi sono chiesta perché non ascoltiamo quel nostro prezioso sesto senso, quando si accende in noi. Lo minimizziamo, scambiandolo per paranoia, quando in verità gli dovremmo molto, perché ci riconnette alla nostra natura selvatica, quella che abbiamo ereditato dal nostro essere animali. E’ un fiuto infallibile, che non ci abbandona e attende solo di essere risvegliato, nutrito e assecondato.
Oltre all’intuito, però, ci sono altri modi per capire in anticipo se un bosco o un luogo naturale non desiderino la nostra presenza. Nel caso delle esperienze personali che vi ho riportato, l’intrico impenetrabile di rami, le frane, gli alberi crollati, i detriti e il tempo atmosferico sono stati dei chiari sintomi di un luogo che non voleva contaminazioni.
Osservare le forme di ciò che ci circonda, quando siamo in natura, è utile a riconoscere e rispettare le energie che la abitano. Alberi che creano fitte giungle, per esempio, non possono essere un chiaro sintomo di apertura… Piante ritorte su loro stesse o persino dall’aspetto sgradevole possono fungere da veri guardiani del bosco e paiono volerci allontanare da un angolo che non ha bisogno della nostra energia, non la vuole, la respinge. Una volta, in una delle tante passeggiate, mi sono imbattuta in un tratto di foresta in cui gli alberi erano bassi e con i rami sviluppati in orizzontale in modo esagerato. Erano spogli, pur essendo luglio, e parevano guerrieri che impugnavano delle lance, tenendole dritte davanti a loro in posizione di attacco. Cosa trasmetteva quel tratto di foresta? Il desiderio di non essere disturbato, e io lo rispettai.
Non è fantasia né fervida immaginazione, la mia, ma allenamento all’osservazione di un ambiente in cui so di essere visitatrice, non padrona di casa.
Per questo motivo, quando mi accingo a entrare in un luogo naturale, sia esso un bosco, un prato o un sentiero di montagna, mi presento alle energie che lo abitano, “busso” all’uscio della loro casa, chiedo il permesso di camminare sulle radici degli alberi… E, forse, è anche per questo che dalla natura ricevo molto, quando la attraverso. Un po’ come quando, giunta in visita a casa di volti familiari, mi vengono offerti té, pasticcini e un mare di sorrisi.
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