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Diventa ciò che sei

Aggiornamento: 16 mar 2023

“Non avrei saputo spiegare come in ogni ghianda vivesse già una quercia, né come d’un tratto mi fossi resa conto che dentro di me, nello stesso modo misterioso, viveva qualcosa – la donna che sarei diventata -, eppure mi sembrava già di conoscerla. Era sempre stata lì. Di colpo presi coscienza del mio destino. Dalle ghiande nascono le querce, giusto?”


L’invenzione delle ali, Sue Monk Kidd

Avete mai tenuto in mano una piccola, apparentemente indifesa ghianda?

E avete mai sostato sotto gli ampi rami di una possente quercia?

Se avete fatto esperienza di ciò, vorrei vi poneste nella condizione di abbracciare il fatto che la ghianda e la quercia siano in verità lo stesso essere, perché non sempre ci fermiamo a riflettere su questo e su ciò che comporta.

Accettare e accogliere il fatto che ghianda e quercia siano la stessa cosa significa accettare e accogliere che anche dentro di noi è presente altrettanta grandezza, quando ci sentiamo piccoli e insignificanti come semi in balia del vento.

Ben più difficile, vero?

La ghianda interiore che abbiamo dentro può simboleggiare un talento latente in noi, un dono da far germogliare o rimasto inespresso, così come la nostra crescita spirituale. Quale che sia il significato che le possiamo attribuire, però, è bene riconoscerla, ri-trovarla.

Sì, perché secondo James Hillman, filosofo e psicanalista di scuola junghiana che nel suo “Il codice dell’Anima” elaborò la Teoria della Ghianda, ognuno/a di noi nasce con un compito, una missione ben precisi dettati dalla propria parte divina.

Si tratta di una caratteristica, un messaggio che siamo chiamati/e a portare nel mondo, ma del quale ci siamo del tutto dimenticati/e una volta varcate le soglie della nostra vita terrena, non ne siamo più coscienti. Eppure quel dono si manifesta in molteplici modi e forme nei primi anni di esistenza, spesso non riconosciuto da chi ci sta accanto. E allora, quella bellezza che siamo chiamati/e a far fiorire, resta chiusa in una gemma non schiusa, in un bocciolo che quasi avvizzisce, in un seme che attende che giunga per lui la sua personale primavera.

La nostra ghianda – dice Hillman – viene soffocata dal vissuto personale di ognuno/a, dalla famiglia, dalla scuola, dall’educazione, dalla religione, dalla società… da un insieme di fattori “esterni” che fanno sì che l’individuo non trovi terreno fertile per le proprie passioni, ma che si adegui, che si adatti a ciò che altri/e si aspettano da lui/lei.

E allora il nostro compito, oggi, diventa quello di ricordarci e rimembrare – riportare nel cuore e incarnare di nuovo, ricondurre nel corpo – la nostra vera missione, la risposta più autentica al “perchè siamo qui” e al “chi sono io, veramente?” che tanto affollano le nostre menti e i nostri cuori nell’età adolescenziale.

Io posso nascere Quercia e dimenticarlo.

Posso nascere Quercia e pensare – addirittura DESIDERARE – di essere un Susino. Posso essere un Melograno che si crede un Pero, o un Cipresso che vuole essere un Acero… e credo sia capitato a tutti/e almeno una volta nella vita.

Proviamo intrinsecamente, nell’inconscio, un rifiuto della nostra vera natura, o semplicemente una dimenticanza. Eppure ciò a cui non pensiamo mai è che ognuno di questi alberi ha la propria funzione…

Proviamo a pensare cosa accadrebbe se nascessimo Querce per un motivo ben preciso e invece provassimo a fare i Susini… Viene quasi da ridere, ma la verità, al di là dell’ironia, è che comportandoci da Susini priveremmo il mondo di una Quercia, un albero con una simbologia immensa, con un’energia particolare, in grado non solo di ispirare determinati sentimenti, ma di svolgere funzioni biologiche precise che altri alberi non posseggono.

Se nasco Cipresso, longilineo, svettante verso il cielo, e invidio l’Acero che ho accano, perché è ampio, bello, con le sue foglie palmate, i suoi semi che paiono ali di fata… forse ignoro di essere nato/a Cipresso per una ragione. Forse devo portare nel mondo il mio essere solida antenna tra due mondi – il cielo e la terra, la vita e la morte, l’alto e il basso – e magari non mi rendo conto che dentro i miei rami così fitti e intricati possono trovare riparo creaturine altrimenti indifese dagli attacchi dei predatori.

Ma no, continuo imperterrito/a a volere su di me susine anziché ghiande, mi sforzo ad aprire i miei rami e produrre semi che non siano tondi perfetti, ma con una forma del tutto differente….

Mi auguro si colga il paradosso di queste parole, confrontato con una natura che non ha la nostra mente calcolatrice e che non può vivere questo genere di conflitto dentro di sé. La natura, semplicemente, è. Esiste. Si manifesta così com’è. E questo non significa che dovremmo colpevolizzarci per i sentimenti e le emozioni che proviamo, per l’ammirazione, l’invidia, la repressione, il rifiuto e via dicendo. Siamo esseri umani, non alberi, e come tali dobbiamo fare i conti con una realtà differente da quella che può vivere un vegetale. Tuttavia, ciò non significa che non possiamo trarre insegnamento dalla natura, nostra inestimabile Madre.

E allora, così come ella ci insegna che ogni albero ha le proprie inestimabili funzioni, la propria energia, e che ogni essere è inscritto nel Grande Disegno, inserito al suo interno con un compito ben preciso, così dovremmo imparare a guardare a noi stessi/e.

Trovare e onorare il proprio dono, il motivo per cui abbiamo scelto di incarnarci qui, ora, sono compiti ardui. In trent’anni di esistenza e dopo tanto ricercare, solo nell’ultimo anno ho avuto la mia epifania, rivelatasi a me proprio in quel pazzo/benedetto 2020 che ci ha poste/i di fronte a un meraviglioso caos primordiale pregno di potenzialità. Auguro a tutti di ri-scoprire il proprio dono, tenere fra le mani il timone che ci aiuta a tenere la rotta, perché, quando capita, ogni scampolo di stoffa va a formare un arazzo bello da togliere il fiato, tanto da farci pensare: “Ma come ho potuto non vederlo prima?”.

E allora vi esorto a domandarvi: quando eravate piccole ghiande, bambini/e, cosa vi piaceva fare? Cosa amavate? Come trascorrevate il vostro tempo? Quali qualità erano vostre e vostre soltanto? Una volta che avrete risposto, nutrite la vostra ghianda interiore, abbandonate tutti gli orpelli con cui vi siete agghindati/e nel tempo e fatevi l’immenso regalo di essere semplicemente, meravigliosamente VOI.

Nell’interrogarmi sugli stessi quesiti, ho scoperto che la me ghianda aveva freschezza cristallina, cantava alla Natura e si nutriva di fiabe e di miti.

La me ghianda aveva uno sguardo unico sul mondo, un’essenza solare e gioiosa.

Poi sono giunte le prime tempeste della vita, le ricordo ancora. E allora, messi i primi germogli, mi chiedevo che alberello sarei diventato: Melo? Sorbo? Così sono andata per tentativi. Forse ero un Ciliegio, dal legno rosso e dai dolci frutti. Ho persino provato a essere bianca e slanciata Betulla, ma niente, il mio tronco era diverso. Forse… vuoi vedere che sono un Nocciolo?

Dopo tanti errori e tentativi, infine ho realizzato di essere Quercia.

Come, io? Ma siamo sicuri?

E così eccomi qui, col mio timone in mano, riunita alla me ghianda. Il canto e il suono fanno di nuovo parte della mia quotidianità e ho capito che fiabe, miti e origini possono essere strumenti per ritrovare il Sacro dentro e fuori di noi. Con questi semi tra le mani, sono pronta a risvegliare nel mondo antichi saperi, affinché altri possano aprire gli occhi su un Universo che forse non hanno mai considerato, e lo faccio a modo mio, con libertà, creazione e cambiamento.

Auguro a te che stai leggendo di fare altrettanto, col cuore.

Che il polline di questo fiore sbocciato oggi in questo mio post possa raggiungerti, ovunque ti trovi, dando vita a nuovi, meravigliosi e unici frutti.



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