La Befana vien di notte…
Conosciamo tutti la simpatica vecchina che, per tradizione, il 6 gennaio vestita di stracci solca i cieli con la sua scopa per portare doni e carbone ai bambini. Alzi la mano, però, chi conosce le origini antiche di questa figura, così simile a una nonna, con la sua chioma canuta e i dolciumi nelle tasche, pronti a essere distribuiti.

La Befana è la sopravvivenza di una figura arcaica che simboleggia Madre Natura.
Nel mondo pagano si credeva che, nelle gelide notti invernali, volassero sui campi appena seminati figure femminili in grado di propiziare il raccolto. Dobbiamo pensare a una società antica, legata all’aspetto femminile e materno della natura. Stando così le cose, la Befana sarebbe nata quasi per via di una superstizione, inventata dal popolo rurale ansioso di assicurarsi un buon raccolto.
Il periodo che va da Natale all’Epifania era molto delicato e critico per il calendario popolare, poiché viene subito dopo la semina; era un periodo, quindi, pieno di speranze e di aspettative per il raccolto futuro, da cui dipendeva la sopravvivenza nel nuovo anno.
Secondo gli antichi romani, a guidare le fanciulle volanti nei campi era Diana, dea lunare della vegetazione; per altri, invece, il compito spettava alla divinità misteriosa di Satia, nome che deriva dal latino satiaetas, ovvero sazietà.
Il suo aspetto poco piacevole segue una tradizione, una leggenda, che si tramanda nei secoli. La Befana, vestita di stracci e gonne rattoppate, mantiene il suo povero aspetto iconografico per un preciso motivo: infatti, rappresenta la natura ormai spoglia, poiché arriva portandosi via un anno “consumato”, vissuto, inevitabilmente punteggiato di pene e sacrifici che la vecchia avrebbe il compito di spazzare via. Dunque, l’aspetto da anziana signora sarebbe da paragonare metaforicamente all’anno appena trascorso, ormai pronto per essere bruciato e per “rinascere” come anno nuovo. La tradizione dei doni portati dalla vecchina assume invece un valore propiziatorio per l’anno appena sorto. Offre una cascatella di dolciumi e regalini, che altro non sono che i semi grazie ai quali risorgerà a primavera come una giovane Madre Natura.

La figura della Befana, letta in chiave sacrificale, venne riconosciuta anche dalla Chiesa, che la bruciava proprio in segno di buon auspicio. Tale usanza influenzò anche la tradizione popolare fino ai nostri giorni. Ancora oggi un po` ovunque per l’Italia il 6 gennaio si accendono i falò, e, come una vera strega, anche la Befana viene talvolta bruciata. In tal modo, la Befana offre carbone che, simbolicamente, è l’energia latente nella terra, pronta a rivivere col nuovo sole. Come la luna, altro simbolo della Grande Madre, muore per rinascere. Nella tradizione popolare campestre, inoltre, la notte dell’Epifania era considerata una notte magica: si diceva che gli animali parlassero nelle stalle e nei boschi. «La notte di Befana nella stalla parla l’asino, il bove e la cavalla»; «La notte di Pasquetta parla il chiù con la civetta», affermano due proverbi, il secondo intendendo Pasquetta per Epifania perché un tempo si chiamava «pasqua» o «pasquetta» qualsiasi festa religiosa solenne.