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Quando “cambiamento” fa rima con “paura”

Aggiornamento: 2 giorni fa

In questo periodo ho avuto modo di riflettere su alcuni temi di attualità che rimbalzano da orecchio a orecchio e di bocca in bocca da anni.

Rifletto sulle conseguenze della globalizzazione, sull’immigrazione, sull’inquinamento. Penso ai cambiamenti climatici, alle nuove generazioni che non sono più “come quelle di una volta”. Medito su questi e altri argomenti e mi viene spontaneo dire che niente può essere più uguale a come lo abbiamo vissuto un tempo. Tuttavia, questo non deve essere necessariamente percepito come un male.

E’ il punto di vista umano che vede il cambiamento come sbagliato, semplicemente perché lo viviamo come un sinonimo della paura. E la paura più grande della nostra specie è quella della morte, che vediamo riflessa in ogni fine (di un’epoca, di un’esistenza, di un’abitudine, di un contratto di lavoro, ecc.), dalla quale poi derivano tutte le altre sue figlie.

Non ci passa neanche per l’anticamera del cervello, tuttavia, che la parola “fine” sia sinonimo di un vocabolo bellissimo: “inizio”. A tal proposito c’è una massima di Lao Tzu che recita: “Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla” e fa riflettere assai…

farfalla

Vorremmo un mondo che resta immutato, non assistere ad alberi che crollano e altri esseri viventi che lasciano questo mondo e questa dimensione alla quale siamo attaccati con le unghie e con i denti.

Vorremmo che non esistessero terremoti, frane, eventi estremi, perché la terra che abbiamo sotto i piedi dovrebbe starsene ferma lì, ad accogliere ogni nostro capriccio o volere.

Vorremmo non vedere gli animali che cambiano continenti e habitat, che perdono l’orientamento, perché non lo riteniamo giusto, ci impietosiamo di fronte a certe scene, senza vederne il naturale scorrere della vita, seppur nella sua apparente anomalia.

stagioni

Vorremmo che le stagioni non cambiassero, che ogni popolo restasse al proprio posto senza invadere i confini altrui “perché è sempre stato così”.

Vorremmo che i bambini imparassero in fretta come abbiamo fatto noi, che non avessero lo sguardo sempre perso chissà dove e che non facessero così tanta fatica nelle materie scolastiche. Li vorremmo “come siamo stati noi alla loro età”, perché “queste nuove generazioni” sono strane, diverse… smaliziate, troppo mature, troppo scostanti.

E potrei andare avanti così all’infinito.

In altre parole vorremmo un mondo che non cambia mai, dove tutto resta com’è… ma ciò che è immobile, immutato e inerte è proprio la morte dalla quale vorremmo disperatamente fuggire. La Vita è un’altra cosa.